Perché gli autoriparatori devono rimanere aperti mentre altre categorie sono chiuse per Decreto? È questa (riassunta ed edulcorata dai vari commenti) la domanda che molti autoriparatori si pongono sui social e sulle chat. Il timore, neanche troppo infondato, è che la “non chiusura” dell’attività porti in automatico all’esclusione di incentivi per sostenere la filiera, ma anche e soprattutto perché ci si sente discriminati rispetto agli altri lavoratori, che possono rimanere a casa, senza rischiare di essere contagiati.
La vera paura, infatti, è proprio l’esposizione al contagio sul luogo di lavoro. Se Governo e sindacati hanno trovato un accordo per i lavoratori delle grandi aziende manifatturiere è difficile immaginare che un autoriparatore riesca a sanificare gli ambienti di lavoro ogni giorno, già più probabile che abbia i Dpi per lavorare.
Un’altra motivazione molto corretta, condivisa dai contestatori della norma, è che non ci sono più clienti. Anche in questo caso come dare torto alla categoria? Le auto non possono circolare liberamente, le manutenzioni ordinarie sono crollate (per non dire azzerate) e anche le carrozzerie hanno esaurito i lavori prenotati, per non pensare ai gommisti: il prossimo cambio gomme che vedranno sarà probabilmente “a fine emergenza”.
Eppure…
Eppure il Governo, nell’allegato 1 del DPCM del 22 marzo 2020, ha lasciato i codici Ateco G 45.20 (Manutenzione e riparazione di autoveicoli), G 45.30 (Commercio di parti e accessori di autoveicoli) e G 45.40 per la sola attività di manutenzione e riparazione di motocicli e commercio di relative parti e accessori (quindi a ben interpretare solo i codici G 45.40.21, G 45.40.22 e G 45.40.30). Non solo. Tra le pieghe della Legge all’articolo 1 comma d), dove il decreto afferma che “restano sempre consentite anche le attività che sono funzionali ad assicurare la continuità delle filiere delle attività di cui all’allegato 1”, si intuisce anche che tutte le filiere che servono gli autoriparatori debbano restare aperte (quindi non solo i venditori di ricambi, ma anche chi si occupa di assistenza e manutenzione delle attrezzature).
Insomma, il Governo considera l’autoriparazione un asset fondamentale per il paese, al pari del settore medicale e alimentare, ma perché?
Perché, nonostante la presenza o meno di clienti, la garanzia della mobilità resta fondamentale per il funzionamento del paese.
Cosa succederebbe se un medico, a causa di un guasto, non potesse recarsi in ospedale? E se un’ambulanza avesse un incidente? Chi garantirebbe la mobilità a tutti quei lavoratori che ogni giorno ci permettono (nonostante tutto) di avere un pranzo e una cena in tavola?
Senza contare che purtroppo la classificazione Ateco fa acqua da tutte le parti e quindi, ad esempio, non esiste una distinzione tra autoriparatori di auto e quelli dedicati ai mezzi pesanti, che devono garantire tutta la logistica del paese, dal farmaceutico all’alimentare.
La verità è che la classificazione Ateco, rivista l’ultima volta nel 2007, è una classificazione che nasce ai fini statistici e non di classificazione operativa. Per questo oggi molte aziende hanno più codici Ateco ed è complicato stabilire esattamente cosa fa un’azienda guardando solo a questi codici. Per questo numerose associazioni di categoria hanno chiesto al governo di rivedere i modi in cui sono applicate limitazioni e aperture delle attività.
Anche per questo motivo è difficile immaginare degli stop alle attività di autoriparazione: come classificare chi deve chiudere e chi no? Senza dimenticare che ogni azienda è comunque libera di chiudere autonomamente, lo Stato, semmai, può solo “precettare” un’apertura qualora i servizi di base non fossero più garantiti. Una prospettiva che nessuno si augura.
Ma restare aperti vuol dire sostanzialmente garantire l’operatività in caso di necessità. Molti attori della filiera, si pensi per esempio a chi vende ricambi, hanno chiuso delle filiali (fisicamente) e quindi non vendono più al banco. Tuttavia, molte sono ancora operative con gli ordini telematici e le consegne comunque garantite.
La conclusione è che comunque, nonostante tutto, gli autoriparatori non sono differenti dai farmacisti, dai cassieri, dai medici e dagli infermieri che ogni giorno continuano a mandare avanti questo paese. E se, come tutti ci auguriamo, presto riusciremo a ripartire, lo dovremo in parte anche a chi ha continuato a lavorare.