Al di là delle considerazioni sul fatto che già una legge che imponga una definizione che da sempre sfugge a regole precise, è un fatto che la firma ci sia stata e, nonostante una parte della categoria non la riconosca, e una parte dei consumatori non la abbia firmata, è comunque un primo passo avanti e una base di discussione.
Una base perché se ci si sofferma a leggere il documento uscito lo scorso 16 maggio parecchi nodi rimangono incastrati al pettine e alcuni punti risultano di difficile comprensione.
Partiamo dal primo macroscopico dato: le linee guida di riparazione a regola d’arte non contengono le linee guida. Se infatti si legge il testo firmato non c’è alcuna specifica tecnica di come effettuare le riparazione e l’unico appiglio (un allegato tecnico) è stato stralciato dall’accordo (almeno dalla pubblicazione ufficiale fatta a mezzo Facebook da Confartigianato). Il testo resta quindi privo della sua colonna vertebrale e si rimanda a considerazioni generiche peraltro già normate. Di positivo c’è il riferimento al preventivo come documento legale (anche in questo caso la normativa è già chiara, ma è un bene che sia stato messo nuovamente nero su bianco), la fatturazione verso le compagnie e la contrattualizzazione del rapporto tra fornitore e cliente.
Molto più vaghe, invece, le indicazioni che coinvolgono il mondo delle case auto: il documento presenta delle buone intenzioni nel garantire il libero accesso alle informazioni tecniche di riparazione fornite dalle case automobilistiche, ma non si capisce bene in che modo tale azione possa essere più incisiva delle attività solta in Commissione Europa dai vari produttori di attrezzature, associazioni di categoria e consumatori già svolgono in sinergia con i produttori di ricambi.
Tra l’altro, nella parte relativa al “libero accesso alle informazioni tecniche fornite dalle case costruttrici” viene fatto anche riferimento al regolamento 461/2010, già regolamento Monti, che ha garantito il libero accesso alle informazioni tecniche in Europa. Il problema quindi non è l’accesso, ma i costi di tale accesso, perché ogni casa costruttrice ha un suo servizio a un suo prezzo, rendendo di fatto impraticabile l’accesso alle suddette informazioni.
Tra l’altro, sempre parlando di case costruttrici, c’è anche una leggera confusione su quel che riguarda la parte ricambi: proprio il regolamento 461/2010 divide i ricambi in originali costruttori, originali del componentista ed equivalenti all’originale, mentre il documento uscito dalla riunione del 16 maggio cita “ricambi conformi alle normative vigenti, omologati dalle case produttrici”. Se la prima parte è corretta, la seconda crea una gran confusione e il rischio di notevoli contenziosi. I ricambi equivalenti e quelli originali, ma senza il marchio della casa costruttrice, non sono mai omologati dalla casa costruttrice, ma solo da enti terzi di certificazione. Tra queste la normativa prevede già oggi obbligatoriamente alcune omologazioni per immettere sul mercato prodotti che hanno a che fare con la sicurezza e con le emissioni (per fare un esempio tutte le pastiglie freno devono essere omologate ECE R90).
Infine il punto più spinoso: la parte facoltativa.
L’accordo infatti si propone anche di semplificare i rapporti tra assicurazioni e autoriparatori con degli accordi facoltativi da parte delle compagnie e degli autoriparatori. Sintetizzando l’accordo afferma che, fatta salva la libera scelta della struttura riparativa di fiducia per il danneggiato, in caso di accordo preventivo tra compagnia e autoriparatore, l’assicurazione si impegna a non esporre franchigie e a velocizzare i tempi di risarcimento.
Questo punto ha creato le maggiori frizioni tra autoriparatori e consumatori, creando di fatto due fazioni. Se infatti l’intento è quello di semplificare la vita dell’automobilista danneggiato, dall’altro il testo presenta alcune storture.
Tra queste sicuramente il fatto che la compagnia si impegni a non far valere eventuali “condizioni di polizza” nel caso in cui l’automobilista si rechi in una struttura che ha firmato l’accordo. In parole semplici la compagnia si impegna a non far pagare la franchigia prevista in alcune polizze rc auto e già oggi considerate illegali.
Per stabilire poi quali strutture hanno aderito all’accordo si rimanda a un portale che dovrebbe realizzare il MISE, mentre per quel che riguarda le comunicazioni tra autoriparatori e compagnie si fa riferimento a un portale, ancora da realizzare parrebbe di capire, che dovrebbe essere commissionato da un “consorzio” non meglio specificato.
Se questi sono i dubbi (ad esempio da chi sarà composto il “consorzio”, da chi e come saranno gestite le informazioni tra autoriparatori e assicurazioni eccetera) di positivo c’è sicuramente una accettazione pubblica da parte dell’ANIA dello strumento della cessione del credito. È infatti su questo tema che i maggiori scontri hanno caratterizzato gli ultimi anni di relazioni tra imprese assicurative e autoriparatori.
Un accordo, insomma che sancisce l’inizio di un percorso ma che, come tutti i compromessi, non giunge a una meta definita. Così mentre qualcuno parla di fiduciariato di massa (facendo leva sulla parte facoltativa) altri plaudono al raggiungimento di un primo accordo. Ma tra accordi e disaccordi, il risultato sembra essere un documento un po’ troppo vago per essere definitivo e bisognerà aspettare eventuali implementazioni per comprenderne davvero le potenzialità.
Come in tutto quello che riguarda la legge saranno i “decreti attuativi” a fare la differenza, attendiamo quindi fiduciosi gli allegati tecnici dell’accordo e l’implementazione dei sistemi informativi, solo allora sapremo se questo accordo rappresenta davvero un punto di svolta nei rapporti tra automobilisti, autoriparatori e assicurazioni.
Infine, invito chiunque sia interessato a leggere il testo dell’accordo pubblicato sulla pagina facebook di ANC Confartigianato, perché ognuno possa farsi una propria idea
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