Essere donna in un mondo di uomini è sempre un po’ complicato, ma non parlatele di differenze di genere, il lavoro in carrozzeria è una vocazione: o ce l’hai o non ce l’hai e non solo per la tecnica, ma anche per seguire il settore da un punto di vista politico.
Piuttosto si può dire che le minoranze sono in generale più motivate, proprio perché scegliere un’attività in un settore “dominato” da altri richiede riflessione e determinazione. È proprio questa riflessione che fa ammettere a Sara Perathoner, carrozziere altoatesino e titolare della Carrozzeria Da Toni di Pontives- Val Gardena, che “se venisse da me assumerei subito una donna carrozziere, perché sicuramente prima di candidarsi avrei la certezza che abbia riflettuto a lungo sulla sua scelta e sia convinta della sua passione”. Purtroppo per Sara, però, di candidate negli anni ce ne sono state pochine, “diciamo anche nessuna, che poi è la verità”.
Di certo essere un carrozziere è sempre stata una scelta naturale per Sara, al punto che oggi rappresenta la categoria a livello internazionale. Ma partiamo dall’inizio.
Come nasce la Sara “carrozziera”?
Sono nata da genitori giovanissimi e il caso ha voluto, proprio l’anno dopo la mia nascita, che mio papà aprisse una carrozzeria. Inizialmente dovevo essere figlia unica (cosa che sono stata per ben sette anni) e perciò ero innamoratissima di mio papà, che per me era e rimane un esempio e un riferimento fondamentale.
Proprio questa mia ammirazione ha fatto sì, che già da bambina, a sette anni, iniziai a scrivere che da grande sarei diventata una “carrozziera”. Poi sono arrivate le auto telecomandate e soprattutto i lego, al punto che ancora oggi, quando smonto e rimonto un’auto, mi sembra sempre di giocare con i mattoncini colorati. Ma il momento in cui ho capito che la mia strada sarebbe stata in carrozzeria è stato quando, ancora piccola, mio papà mi diede una smerigliatrice in mano per carteggiare un carrello: quella lavorazione è stata rivelatrice e ancora oggi la rotorbitale è tra i miei utensili preferiti.
Eppure, la carrozzeria non è stata la tua unica passione, sei anche una maestra di sci, come mai questa doppia scelta?
Possiamo dire che lo sci ha fatto sì che si consolidasse la mia scelta lavorativa. Quando ero giovane, infatti, ho intrapreso anche la carriera agonistica di sci. Purtroppo, però, non è andata come speravo: un infortunio ha bloccato la mia carriera, fino a quel momento ero proiettata solo su questo sport.
Proprio per riuscire ad allenarmi a 15 anni ho deciso di lasciare gli studi: era più facile conciliare il lavoro in carrozzeria con l’attività sportiva piuttosto che andare a scuola. Inoltre, tutte le estati davo comunque già una mano in carrozzeria.
15 anni però sono pochi: si trattò di una scelta condivisa con la famiglia?
A dir la verità mio papà avrebbe preferito che continuassi a studiare, ma io sono una persona piuttosto determinata e ho preferito lavorare, anche perché ero certa che prima avessi imparato meglio sarebbe stato.
Nonostante questo, però, a circa 20 anni mi ero completamente stufata dell’attività e così decisi di sostenere l’esame da maestra di sci. È iniziata così la mia seconda carriera, ma che in realtà è sempre rimasta parallela con quella di “carrozziera” perché comunque alla fine della stagione invernale tornavo sempre carrozzeria. Si potrebbe dire che è stato un bene, perché staccare qualche mese faceva in modo che mi mancasse il contatto con il mio lavoro e potessi riprenderlo con entusiasmo.
Essendo un’attività di famiglia immagino tu abbia confidenza con tutti i reparti di una carrozzeria, ma cosa ti piace di fare di più? E perché?
Da apprendista mi sono sempre occupata più di stacco e attacco, molto meno di raddrizzatura e verniciatura. Non perché non mi piacciano, o non sappia cosa sia necessario fare, ma perché sono attività che ti assorbono completamente e dove ci vuole tempo per farsi un’esperienza valida. Io, occupandomi da sempre dell’accettazione e degli ordini, avevo difficoltà per alcune attività: una volta che entri in cabina di verniciatura non è che si può uscire per rispondere al telefono o ascoltare un cliente appena entrato.
Diciamo che l’attività che oggi trovo più rilassante in carrozzeria è sicuramente la lucidatura. Alcuni si rilassano stirando, io mentre lucido un’auto. Oltre a questo, siccome a me è sempre piaciuto disegnare, ho iniziato a fare del design e lavorare con l’airbrush, che è un’attività che mi dà molta soddisfazione.
Non solo tecnica però, sei anche attiva sul fronte dei diritti dei carrozzieri, come mai?
In primo luogo perché è il mio lavoro. In secondo luogo perché fin da subito mio papà ha iniziato a portarmi alle riunioni del settore.
Proprio frequentando questi incontri ho iniziato a domandarmi come mai tanti erano convinti delle proprie idee durante le assemblee, ma poi appena usciti iniziavano a lamentarsi e disattendere quanto deciso. Ecco io non volevo essere una di quelle che alimentavano le chiacchiere da bar, ho semplicemente pensato che per far valere le proprie idee bisognasse attivarsi.
Oggi sono capogruppo di mestiere dei carrozzieri dell’LVH-APA, che è l’associazione degli Artigiani Alto Atesini. Grazie a questa attività sono entrata anche nel consiglio del consorzio UPAA - Unione Professionale Altoatesina dell'Automobile, nota al pubblico soprattutto con il marchio Blauschild, la rete delle officine di autoriparazione Sudtirolesi.
Proprio grazie a questa attività siamo stati invitati a Vienna per un gruppo di lavoro tra paesi di lingua tedesca e da lì siamo entrati in contatto con l’AIRC, Association Internationale des Réparateurs en Carrosserie (associazione internazionale dei riparatori indipendenti di carrozzeria n.d.r.), dove abbiamo ottenuto il diritto a un voto. Ogni paese ha infatti diritto a due voti, così per il secondo nome ho presentato Federcarrozzieri, perché a mio avviso era l’associazione più in linea con l’idea di riparatori indipendenti.
Ma cosa fa esattamente l’AIRC e di cosa vi occupate?
Tendenzialmente ci occupiamo di difendere i diritti dei carrozzieri in Europa. Per esempio, in questo momento c’è un grande problema legato all’aumento dei costi a causa del Covid-19, che nessuno riconosce, non solo in Italia, ma in tutta Europa. A seconda delle compagnie, ad esempio, c’è chi paga e chi non riconosce alcun valore alla sanificazione, questo ha portato ad alcune reazioni anche estreme. Mi riferisco alla Germania dove molti carrozzieri hanno adottato l’abitudine di inserire un biglietto nelle auto riparate dei clienti in cui si spiega che l’auto non è stata sanificata perché l’assicurazione non paga tale servizio.
Ma il confronto europeo fa emergere anche incongruenze interne al nostro paese. Rispetto alle altre nazioni siamo molto avanti su vari fronti. L’Italia è uno dei pochi paesi in cui è sopravvissuta la manualità degli artigiani, quindi a differenza di molti nostri colleghi siamo ancora in grado di riparare dei danni e non solo di sostituire componenti. Purtroppo, nonostante questa nostra competenza, siamo quelli cui la manodopera è la meno pagata d’Europa e su questo punto la critica maggiore va proprio a noi stessi: i carrozzieri sembra quasi si vergognino del loro lavoro o di chiedere cifre adeguate alla propria professionalità.
Con il Covid-19 c’è stata una accelerazione sul digitale, ritieni che questo sia un bene per il settore?
La digitalizzazione è una grande chance sempre che si sappia cavalcarla. Il primo vantaggio che vedo è la disintermediazione di molte funzioni e costi, che oggi stanno tra il danno e la riparazione, che è l’unico processo che non si può digitalizzare, almeno nel mondo della carrozzeria, perché nella meccanica alcuni processi probabilmente saranno gestiti da remoto.
La cosa che invece, ancora oggi, mi sorprende e mi delude di più sono i magazzini dei fornitori: in un’epoca di E-commerce e digitalizzazione è ancora impossibile sapere giacenze e prezzi di un componente senza passare dai contatti telefonici.